Economia

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L’economia d’Italia, che già da fine Ottocento aveva iniziato a conoscere un certo grado di sviluppo soprattutto nell’area del Triangolo industriale, a partire dal secondo dopoguerra, ha conosciuto profondi cambiamenti strutturali, che nei decenni successivi l’hanno resa una delle maggiori potenze economiche mondiali, grazie ad un continuo processo di crescita economica durato fino alla metà degli anni novanta del XX secolo. Durante questa fase, il progressivo ridimensionamento del settore primario (agricoltura, allevamento e pesca) a favore di quello industriale e terziario (in particolare, nel periodo del boom economico, negli anni cinquanta-settanta) si è accompagnato a profonde trasformazioni nel tessuto socio-produttivo, in seguito a massicce migrazioni dal Meridione verso le aree industriali del Centro-Nord grazie anche a una nuova forte spinta all’urbanizzazione, legate alla parallela trasformazione del mercato del lavoro. La fase di industrializzazione è arrivata a compimento negli anni ottanta ed è cominciata la terziarizzazione dell’economia italiana, con lo sviluppo dei servizi bancari, assicurativi, commerciali, finanziari e della comunicazione. A partire dagli anni ’90 l’economia italiana inizia a rallentare e dagli anni 2000 l’economia italiana entra in una fase di sostanziale stagnazione, caratterizzata da una crescita estremamente bassa. Nel 2008-2009, per effetto della Grande recessione, il Paese entra in un periodo di vera e propria recessione, ripresentatasi negli anni 2012-2013 per effetto della Crisi del debito sovrano. Dopo un periodo di ripresa, nel 2018-2019 vi è un rallentamento che porta a una sostanziale stagnazione a causa della guerra economica tra Stati Uniti e Cina. Nel 2020 l’economia crolla di oltre il 9% a causa della pandemia di COVID-19, per poi riprendersi parzialmente nel 2021. L’industria italiana è dominata da piccole e medie imprese (PMI), per lo più di tipo manifatturiero, mentre le grandi imprese sono poche. Si tratta del cosiddetto dualismo industriale. Di recente, le PMI sono state messe sotto pressione dalla crescente concorrenza proveniente dai Paesi emergenti, soprattutto quelli dell’Asia orientale (Cina, Vietnam, Thailandia), che proprio sul settore manifatturiero hanno puntato per il loro sviluppo, grazie al basso costo del lavoro. Le imprese italiane hanno reagito in parte esternalizzando la produzione o delocalizzandola in Paesi in via di sviluppo, in parte puntando su produzione di qualità. Inoltre, a partire dalla fine degli anni ’90 l’Italia ha cominciato ad introdurre norme per deregolare il mercato del lavoro, rendendolo particolarmente flessibile. L’Italia e la sua economia possono contare su una forza lavoro di oltre 25 milioni di persone, la ventunesima al mondo. Secondo i dati del 2013, il 3,6% della forza lavoro è occupata nell’agricoltura, il 27,3% nell’industria ed il 69,1% nei servizi. Rispetto al 1995 (valori pari a 6%, 30,9% e 63,1% rispettivamente) si registra una diminuzione della quota di occupati nei settori primario e secondario a favore del settore terziario, tendenza questa comune a tutti i Paesi industrializzati. Inoltre, secondo i dati Eurostat riferiti al 2013, il 22,3% degli occupati risulta lavoratore autonomo, contro appena il 14,4% della media europea; tuttavia, solo il 29% dei lavoratori autonomi italiani ha dei dipendenti, familiari inclusi. I lavoratori part-time sono il 17,9% del totale (il 31,9% tra le sole donne) ed il 13,2% ha un contratto a tempo determinato (appena al di sotto della media europea del 13,8%). Il tasso di occupazione si attesta nel 2013 al 59,8%, ai minimi dal 2002, quando era pari al 59,4%. La crisi cominciata nel 2009 ha infatti interrotto una lunga crescita del tasso di occupazione passato dal 55% del 1995 al 63% del 2008. Il dato italiano rimane comunque molto inferiore alla media europea, che è del 68,3%, e superiore solo a quello di Grecia, Croazia e Spagna. Forti sono le differenze tra il tasso di occupazione maschile (69,8% nel 2013) e quello femminile (49,9% nello stesso anno).

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